Sirmione: 4mila anni tra cielo e lago
Camminare lungo rive di storia e bellezza
Sirmione, perla fra le isole e le penisole,
e di tutte quelle che regge Nettuno
tra laghi cristallini e vasto mare:
con quali piacere e gioia torno a rivederti
a stento riesco a credere,
abbandonati i campi di Tinia e Bitinia,
di ritrovarmi in te, al sicuro.
Oh, cosa di meglio
quando il cuore depone gli usati affanni
e, stanchi del viaggio in terre straniere,
ritorniamo al nostro focolare
e risposiamo sul tanto agognato letto?
È l’unica gioia dopo tanti dolori.
Salve, amabile Sirmione, festeggia il tuo padrone,
e gioite voi, onde del lago di Lidia,
Ridete, e rida in casa ogni cosa vi sia di gioioso.
Così Catullo cantava l’amata propaggine che si allunga nel ventre blu del lago di Garda. Qui sopravvive la testimonianza dell’enorme villa dei Valerii, e qui è stato rinvenuto un affresco che eterna l’immagine del poeta dell’amore del I sec. a. C. Era già allora, “Sirmio”, sinonimo d’incanto e opulente bellezza.
Una lingua di terra cove antiche mura sorgono dall’acqua
A piedi o in macchina fino al cuore del lago
Una sottile penisola scivola nel cuore color di smeraldo del Garda: lì s’allarga in una terra dalla natura lussureggiante e dal fascino senza tempo. Non stupisce che da quattro millenni Sirmione attiri a sé popoli tra i più disparati. Dalle palafitte dell’età del bronzo alle fortificazioni medievali passando per vestigia romane, longobarde o veneziane, ha sempre offerto porto sicuro, tutto il misticismo e il fascino d’un luogo creato dagli elementi. Terra, acqua, cielo e vento in uno.
Infinite memorie pietra su pietra
Luogo di villeggiatura dei nobili latini
A ridosso d’una delle tre colline che si stagliano sull’infinito del lago, ecco che nelle “Grotte di Catullo” sopravvivono mura pantagrueliche: sono le enormi fondamenta d’una villa che doveva lasciare senza fiato ogni visitatore. Quasi due ettari. Per quella che è la più imponente area archeologica del nord Italia. Ora le sue pietre rosate restano mute testimoni di mistero fra lucide scogliere e verdissimi ulivi, notturna platea ai Dioscuri, agli amanti, alle leggendarie lacrime della sirmionese Quinzia. Sull’antica via Gallia, luogo di mansiones pronte ad accogliere dignitari imperiali, la penisola era appannaggio di scelte, nobilissime famiglie romane che qui trascorrevano vite lievi in elitari ritiri.
Dalla caduta alle “longhe barde”
Al volgere dei ricorsi che porteranno il disfacimento dell’impero, ancora Sirmione svettava per floridi fasti e prosperità. Alle sue spalle l’antica selva primigenia della “Lugana” era teatro di fatti d’arme. Qui combatterono Costantino e Massenzio nel 312 d.C. e, poco più d’un secolo dopo, Papa Leone Magno impetrò ad Attila di riprendere al via del profondo nord.
Qui i Longobardi dilagarono a fine 500 e persino la nobile Sirmione cedette alle lunghe lance. Di loro, dopo la conversione, quattro chiese celano, con la quasi perduta necropoli, la memoria di re Desiderio e di quell’Adelchi vinto da Carlo Magno. Moriva così il regno longobardo e diveniva leggenda la ripudiata Ermengarda. Morì nei recessi claustrali di San Salvatore in Bescia, la giovane regina, entrando nella storia e, col Manzoni, eternandosi a drammatica eroina d’amore.
L’ultimo mistero cataro
Tra i molti segreti custoditi nei suoi luoghi sacri, “Sirmio” cela forse l’estremo mistero e il vero tesoro dei catari. E v’è molto più in proposito d’una vuota leggenda. Dove oggi sono pietre spezzate dal sole e un crinale roccioso, un tempo era la splendida rocca di Montsegur, ultimo baluardo albigese. Da lì partirono nottetempo i quattro “perfetti” incaricati di porre al sicuro dalla predazione crociata quell’oggetto che, unico, avrebbe potuto far tremare le fondamenta dell’intera cristianità.
Dov’erano diretti? Più di un indizio vede in Sirmione la meta finale. Qui furono invero ospitati alcuni tra i più importanti vescovi fuggiaschi. Nella vicina Desenzano, già predicava Giovanni da Lugio, massimo teologo cataro. Il lago era inoltre naturale fonte pesce, principale se non unico alimento accettato dalla dottrina eretica. Gli scontri tra guelfi e ghibellini, nel mentre, eleggevano il Garda a risoluta “zona franca” del controllo papale.
Di certo c’è che poco prima della resa numerosi dispacci vennero scambiati proprio con l’area gardesana e, con l’inizio della disperata diaspora, numerosi sopravvissuti trovarono riparo proprio tra le rovine romane di Sirmione. Qui vissero in clandestinità per circa tre decenni, nascosti e protetti dagli abitanti del luogo. Qui, in alcune chiese dell’abitato, sopravvivono tracce e simboli che sembrano non lasciare dubbio: Sirmione è indissolubilmente legata al destino fatale e segreto dei Catari.
L’alto mastio merlato, fatale signore dell’acqua
Un castello da fiaba abbraccia il borgo antico di Sirmione. Le sue mura, che si stagliano a filo d’acqua, sono frutto di tre distinti interventi degli scaligeri signori di Verona, dal XIII al XIV secolo, quando anche la darsena fu fortificata. Alle raffinate torri, i profondi cortili, ponti levatoi e camminate di guardia, s’aggiunge quella che forse era l’intima cappella della guarnigione di stanza alla fortezza. Secondo il credo locale accoglierebbe un affresco di sant’Anna e della madre di Maria.
Tramontati i Della Scala l’irrinunciabile Sirmione fu contesa da Milano e Venezia. In ultimo il controllo arrise alla Serenissima che dominò sul Rinascimento in quella preziosa e splendida penisola aggettata nella storia. Così sarebbe stato fino all’era del sogno napoleonico prima e dei libertari, risorgimentali afflati, poi.
Un viaggio nella bellezza
Sirmione restituisce oggi interi millenni pietra su pietra, ma fra di esse, lungo gli interstizi dei selciati romani e fra le ruvide pareti d’eco medievale, dietro i marmi e lungo le baluginanti rive, tesse e conserva misteri inesplorati. Ad di sopra d’essi tutto è splendore di sole, dolci frasche cullate dal vento e infiniti silenzi. Non mancate, almeno una volta nella vita, di cedere al suo fascino innato.
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